Dalla morte del “famigliare di fatto” sorge il diritto al risarcimento del relativo danno?

Il Tribunale di Grosseto, Sezione distaccata di Orbetello, aveva respinto la domanda risarcitoria, proposta dai coniugi Tizio e Caio, quali eredi testamentari di Sempronia, loro convivente e quindi di fatto facente parte della loro famiglia, in conseguenza del decesso della stessa avvenuto alcune ore dopo il sinistro, occorso alla stessa nel 1995.  Tizio e Caia avevano infatti evocato in giudizio il proprietario e il conducente del veicolo che a loro dire aveva causato quel sinistro chiedendone la condanna al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali, conseguenti all’intervenuto infortunio e connessi alla perdita di colei che a loro dire era a tutti gli effetti un famigliare. In primo grado la domanda veniva respinta. Costoro, a detta di quel Giudice, non avevano ragione di ottenere il ristoro del danno patito per la scomparsa di Sempronia perché pur essendo con loro convivente non era legata ad essi da vincoli di parentela. E così pure era avvenuto nel giudizio di appello, nel senso che pur dinanzi a quel Giudice la stessa domanda era stata respinta.  Tizio e Caio ricorrevano in Cassazione lamentando sotto diversi aspetti l’ingiustizia della sentenza di secondo grado. In particolare i ricorrenti protestano che la Corte territoriale aveva loro negato il diritto ad ottenere, jure proprio, il risarcimento del danno non patrimoniale subito a seguito della morte di Sempronia; aveva contraddittoriamente escluso rilevanza alla circostanza che la persona deceduta fosse o meno trattata come un parente dagli altri componenti della famiglia; aveva erroneamente ristretto ai familiari di sangue – o al più al convivente more uxorio della vittima – l’ambito soggettivo dei destinatari della tutela risarcitoria. Nel caso di specie, Sempronia era stabilmente inserita, da molti anni, nel nucleo della loro famiglia ed era trattata come vero e proprio stretto congiunto. Cosa ha risposto la Cassazione,  che “la censura dei ricorrenti coglie nel segno”. Ricorda infatti la Cassazione un proprio significativo precedente e quindi: “perché … possa ritenersi risarcibile la lesione del rapporto parentale subita da soggetti estranei a tale ristretto nucleo familiare (quali i nonni, i nipoti, il genero, o la nuora) è necessario che sussista una situazione di convivenza, in quanto connotato minimo attraverso cui si esteriorizza l’intimità delle relazioni di parentela, anche allargate, contraddistinte da reciproci legami affettivi, pratica della solidarietà e sostegno economico, solo in tal modo assumendo rilevanza giuridica il collegamento tra danneggiato primario e secondario, nonché la famiglia intesa come luogo in cui si esplica la personalità di ciascuno, ai sensi dell’art. 2 Cost.. (Sez. 3, Sentenza n. 4253 del 16/03/2012, Rv. 621634 – 01). E ancora più di recente è stato precisato che: «Integra di per sé un danno risarcibile ex art. 2059 cod. civ. – giacché lede un interesse della persona costituzionalmente rilevante, ai sensi dell’art. 2 Cost. – il pregiudizio recato al rapporto di convivenza, da intendere quale stabile legame tra due persone connotato da duratura e significativa comunanza di vita e di affetti»”. (Cassazione civile, ordinanza 18568/2018).

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