Ritardi e disservizi ferroviari … no al risarcimento

TIZIO, pendolare del servizio ferroviario, convenne in giudizio, dinanzi al Giudice di Pace di X, CAIA al fine di sentir accertare l’inadempimento della stessa agli obblighi assunti con il contratto di trasporto, nonché agli obblighi di servizio pubblico e, per l’effetto, di sentirla condannare al risarcimento di tutti i danni patrimoniali, biologici, morali ed esistenziali derivanti all’attore a seguito della sistematicità dei ritardi, delle precarie condizioni igieniche dei vagoni, della difficoltà di trovare posto a sedere. La società convenuta, nel costituirsi, ha negato qualsivoglia addebito. Il Giudice di Pace di X, con sentenza n. X, in parziale accoglimento della domanda, ritenuti risarciti i danni patrimoniali, condannò CAIA a risarcire il danno non patrimoniale provocato all’attore, quantificato in X. Quella decisione veniva riformata dal Tribunale di X: quel Giudice ritenne che l’attore non avesse dimostrato, e neppure allegato, il presupposto della gravità dell’offesa, necessario al fine di ritenere risarcibile il danno non patrimoniale conseguente alla lesione, che doveva essere grave, di un diritto costituzionalmente qualificato. TIZIO avrebbe dovuto dimostrare, ai fini del riconoscimento del danno esistenziale, non solo i disservizi del sistema ferroviario, che integrano l’inadempimento del vettore, ma anche che tali disservizi avevano inciso in senso negativo nella sua sfera di vita, alterandone e sconvolgendone l’equilibrio e le abitudini di vita. Avverso tale sentenza TIZIO proponeva ricorso in Cassazione, sulla base di sette motivi, tutti disatessi. Queste le considerazioni del Supremo collegio: “Con il primo motivo, TIZIO lamenta la “violazione dell’art.360 c.p.c., nn. 3 e 4, in relazione all’art. 112 c.p.c., 113, comma 1, c.p.c., 115 c.p.c., 132 n. 4, 118 disp. att. c.p.c. e 161 n. 1 c.p.c. e 342 c.p.c.”. Il Tribunale, affermando che l’atto di citazione sarebbe affetto da genericità e che i disservizi lamentati non sarebbero provati, avrebbe violato il principio devolutivo dell’appello. Infatti, CAIA non aveva dedotto profili di nullità della sentenza di primo grado per pretesa genericità dell’atto introduttivo, né contestato i disservizi lamentati dal ricorrente, rinunciando addirittura ad impugnare il capo della sentenza del giudice di pace che aveva ritenuto ristorato il danno patrimoniale subito dal ricorrente, con l’effetto di rendere incontrovertibile l’inadempimento contrattuale. Il motivo è inammissibile. Infatti, contrariamente a quanto sostiene il ricorrente, il Tribunale ha riformato la sentenza di primo grado, rigettando la domanda di TIZIO, non per genericità dell’atto di citazione, ovvero per mancanza di prova in ordine ai disservizi, bensì per la mancanza di prova in ordine alla gravità della lamentata lesione ai diritti fondamentali della persona costituzionalmente garantiti, presupposto necessario per la risarcibilità del danno non patrimoniale c.d. esistenziale. 4.2. Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta la “violazione dell’art.360 c.p.c., nn. 3 e 5, art. 112 c.p.c., 115 comma I e II c.p.c., in relazione all’art. 1223 c.c., 1225 c.c., 1226 c.c., 2059 c.c. Violazione e falsa applicazione artt. 24 e 111 comma 6 Cost.”. Il Tribunale avrebbe, da un lato, immotivatamente negato dignità di prova al fatto notorio, dall’altro, non avrebbe comunque messo il ricorrente in condizione di negare i fatti, non ammettendo i capitoli di prova. Le prove orali, ove ammesse, sarebbero state certamente idonee a provare in concreto le ripercussioni fortemente negative sul piano personale e lavorativo che il ricorrente aveva subito per effetto dei disservizi a cui era stato esposto. Il motivo è infondato. Il Tribunale, con motivazione priva di vizi logico-giuridici, ha correttamente ritenuto che le prove articolate dal ricorrente, anche ove fossero state ammesse, non avrebbero consentito di superare la carenza di prova in ordine alla gravità del pregiudizio asseritamente subito. I capitoli di prova articolati, infatti, miravano a dimostrare l’esistenza dei disservizi e non le conseguenze degli stessi sul piano personale e lavorativo del ricorrente. 4.3. Con il terzo motivo, TIZIO lamenta la “violazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, in relazione all’art. 1218 c.c., 1681 c.c., 1325 c.c., agli artt. 4, 14, 17, 18, 20, 23 del contratto di servizio per il trasporto pubblico ferroviario di interesse regionale e locale tra Regione X e CAIA e all’art. 4 del contratto di servizio per il trasporto pubblico tra Regione X e CAIA, art. 2 e 101 d.lgs. 205/2006, artt. 2, 3, 4, 16 29, 30, 32, 34 Costituzione”. Il Tribunale, ai fini della valutazione della sussistenza della lesione dei diritti inviolabili della persona, non avrebbe dovuto ignorare la natura e la finalità degli obblighi di servizio pubblico posti a carico del gestore dai contratti conclusi con la Regione X ed X, posti a garantire non il trasporto tout court, ma il trasporto con determinate caratteristiche di comfort del viaggio, nel rispetto degli standard di qualità del servizio. L’inosservanza di tali obblighi e standard si risolverebbe nella violazione di specifici obblighi di protezione nei confronti della persona, che trovano la loro fonte negli artt. 2 e 101 Cod. cons e negli artt. 2 e 3 Cost. Se il Tribunale non avesse ignorato la natura e la finalità del contratto di trasporto ferroviario, non avrebbe potuto pretendere la ricorrente la prova della lesione dei diritti inviolabili della persona, insita nella violazione degli obblighi di servizio pubblico, ma semmai la sola prova della violazione di tali obblighi da parte del gestore, dell’entità di tale violazione, e dell’incidenza di essere sulla vita del ricorrente stesso. Il motivo è infondato. Contrariamente a quanto deduce il ricorrente, la decisione del Tribunale ha fatto buon governo dei principi affermati dalle Sezioni Unite di questa Corte ormai da un decennio (sent. n. 26972/2008). Invero, le Sezioni Unite, con detta citata sentenza, hanno statuito che, in virtù di una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c., unica norma disciplinante il risarcimento del danno non patrimoniale, la tutela risarcitoria è data, oltre che nei casi determinati dalla legge, solo nel caso di grave e seria violazione di specifici diritti inviolabili della persona. E, per quanto qui rileva, hanno precisato che “sono palesemente non meritevoli di tutela risarcitoria, invocata a titolo di danno esistenziale, i pregiudizi consistenti in disagi, fastidi, disappunti, ansie ed ogni altro tipo di insoddisfazione concernenti gli aspetti più disparati della vita quotidiana che ciascuno conduce nel contesto sociale” e che ogni persona, inserita nel complesso sociale, deve accettare, in virtù del dovere di convivenza, “un grado minimo di tolleranza”. Nel caso di specie, facendo buon governo dei principi che precedono, il giudice di appello ha ritenuto non dimostrato che il pregiudizio esistenziale avesse superato “quella soglia di sufficiente gravità e compromissione dei diritti lesi, individuata in via interpretativa, dalle Sezioni Unite del 2008, quale limita imprescindibile al risarcimento del danno non patrimoniale”. In particolare, ha ritenuto che dalle richieste istruttorie articolate, peraltro non ammesse, fosse possibile, al limite, evincere l’esistenza dei disservizi ma non certo le conseguenze degli stessi sulla persona dell’attore e sulle sue relazioni sociali. Tali valutazioni, in quanto conformi alla giurisprudenza di questa Corte (si veda, sempre in tema di trasporto ferroviario, la recente Cass., sez. UI civ., 4/05/2018 n. 10596), sono insindacabili nella presente sede di legittimità. 4.4. Con il quarto motivo, il ricorrente lamenta la “violazione dell’art.360 c.p.c., n. 3, in relazione all’art. 1218 c.c., 1681 c.c., 1174 c.c., 1175 c.c. e art. 2697 c.c„ art. 2059 c.c., 1223, 1225, 1226 c.c.”. Se il Tribunale avesse inquadrato correttamente la fattispecie e fatto corretta applicazione dei principi sulla ripartizione dell’onere della prova in materia di responsabilità contrattuale, non avrebbe comunque potuto gravare l’attore della prova della lesione del diritto di rango costituzionale. Sarebbe stato onere del gestore e non dell’utente provare di aver adempiuto esattamente al contratto con la diligenza professionale richiesta in relazione alla qualità di gestore del servizio, alla caratteristica dell’attività svolta alla natura del contratto di trasporto, alla prestazione dedotta in contratto. In mancanza della prova liberatoria, il Tribunale avrebbe dovuto dichiarare la responsabilità contrattuale di CAIA e condannarla al ristoro dei danni sia patrimoniali che non patrimoniali. Il motivo è infondato. Nella responsabilità contrattuale, non diversamente dalla responsabilità aquiliana, spetta al danneggiato fornire la prova sia del pregiudizio incidente nella sfera patrimoniale e non patrimoniale del contraente danneggiato, sia la sua entità. 4.5. Con il quinto motivo, il ricorrente lamenta la “violazione dell’art.360 c.p.c., nn. 3 e 5, in relazione all’art. 1218 c.c., 1681 c.c., 2059 c.c., in relazione alla sussistenza del profilo della gravità della lesione di un diritto costituzionalmente protetto e alla sua prova”. Il Tribunale, nel ritenere che gli elementi dedotti dal ricorrente fossero così generici da non poter essere prese in considerazione al fine di provare che il catalogo dei diritti costituzionalmente garantiti fosse stato inciso oltre una certa soglia, non avrebbe tenuto conto dei fatti che il giudice di pace aveva accertato, con carattere di incontrovertibilità, ovvero: la qualità di pendolare giornaliero sulla tratta X – X dell’attore per ragioni di lavoro; l’inadempienza del gestore gli obblighi di servizio pubblico nel X, anno in cui l’indice di affidabilità fu superato per 7 mesi. La prova della gravità e dell’ingiustizia della lesione deriverebbe proprio dalla violazione per sette mesi all’anno del livello di qualità dei servizi pattuiti nel contratto di servizio pubblico. Non aver ritenuto raggiunta una simile prova costituirebbe negazione di un fatto divenuto incontrovertibile, non essendo stato contestato da CAIA, la quale aveva prodotto in giudizio il prospetto dei bonus erogati tra il X e il X riportante mese per mese i valori dell’indice di affidabilità. Il motivo è infondato per le medesime ragioni indicate in relazione al quarto motivo. Peraltro, si deve ribadire che il giudice dell’appello ha ritenuto non dimostrata non l’esistenza dei disservizi, bensì la circostanza che tali disservizi abbiano inciso sulla persona e sulle relazioni del ricorrente determinando una grave lesione dei suoi diritti fondamentali costituzionalmente garantiti. 4.6. Con il sesto motivo, il ricorrente lamenta la “violazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, in relazione all’art. 2043 e agli artt. 2, 3, 4, 16, 29, 32, 34 Cost., artt. 1, 7 e 15 Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, 2059 c.c., art. 101 D.lgs. 206/2005, 1223, 1225, 1226 c.c., art. 115 c.p.c.Y) . Anche volendo escludere la responsabilità del gestore dell’ambito contrattuale, il Tribunale avrebbe comunque dovuto ricondurre la responsabilità del gestore ex art. 2043 c.c., ricorrendone i presupposti: la condotta inadempiente, il nesso di causalità, la violazione grave di un diritto costituzionalmente garantito. Infatti sarebbe un fatto notorio che viaggiare quasi ogni giorno in piedi, ammassati, in condizioni di scarsa sicurezza, pulizia, in carrozze gelide d’inverno e torride d’estate, o vivere lo stress del ritardo produce secondo l’id quod plemmque accidit un pregiudizio alla persona di natura non patrimoniale incidente sui diritti della persona costituzionalmente garantiti.11 motivo è inammissibile perché mira ad ottenere una nuova valutazione di merito (in ordine alla gravità del pregiudizio non patrimoniale subito). 4.7. Con il settimo motivo, il ricorrente lamenta la “violazione dell’art.360 c.p.c., nn. 1 e 4, in relazione all’art112 c.p.c 113 comma 1 c,p,c, 115 c.p.c., 132 n. 4 118 disp. att. c.p.c. e 161 n. 1 c.p.c. e 342 c.p.c., 1223, 1225, 1226 c.c.”. Con riferimento al danno patrimoniale, il tribunale avrebbe motivato richiamando per relazione la sentenza del giudice di pace, senza indicare gli elementi essenziali della stessa, e senza confutare le censure formulate con l’appello incidentale del ricorrente, il quale aveva chiesto la rideterminazione del quantum del danno. La corresponsione di un bonus, sotto forma di abbonamento gratuito, non può considerarsi idonea a ristorare il danno subito e o comunque ad escludere altre forme risarcitorie. Tale bonus, essendo previsto da una fonte contrattuale non in grado di derogare al regime legale della responsabilità civile, costituisce un beneficio che l’utente riceve in aggiunta e non in sostituzione e quanto eventualmente spetti a titolo di effettivo e completo ristoro dei danni patiti per il disservizio cronico. Il motivo è infondato. Il Tribunale, contrariamente a quanto sostiene il ricorrente, nell’aderire alla decisione di primo grado circa il rigetto della richiesta di risarcimento dei pregiudizi patrimoniali subiti a causa dei ritardi, richiama gli elementi sulla base dei quali tale decisione si fondava (la circostanza che al ricorrente siano stati corrisposti, quali indennizzo, bonus per l’acquisto degli abbonamenti, nonché la circostanza che parte attrice abbia comunque usufruito del servizio). Né sussiste il vizio di omessa pronuncia. Al riguardo, anche a prescindere dal fatto che il ricorrente, in violazione del principio di autosufficienza, non trascrive nel ricorso le censure asseritamente ignorate dal Tribunale, si deve ribadire che “il giudice non è tenuto ad occuparsi singolarmente di ogni allegazione e prospettazione delle parti, risultando necessario e sufficiente, in base all’art. 132 n. 4) c.p.c., che esponga, in maniera succinta, gli elementi in fatto ed in diritto posti a fondamento della decisione, dovendo ritenersi per implicito disattesi tutti gli argomenti e le tesi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e l’iter argomentativo seguito” (Cass. civ. Sez. V, 27/03/2015, n. 6205). 5. In conclusione, il ricorso deve essere respinto. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza”. (Cassazione civile, 3720/2019).

Avv. Sergio Severino Vergottini

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